Lo scorso 16 aprile è andato a fuoco il tetto della Cattedrale di Notre Dame a Parigi.
Un evento che ha colpito e per certi versi commosso molte persone, credenti di religione cattolica e non.

La forza e la “crudeltà” delle fiamme hanno incuriosito e impressionato quanti erano presenti nelle vicinanze, ma anche quanti hanno seguito l’evento nelle trasmissioni televisive. E proprio in una di queste, uno Speciale di RAI1 alle ore 21, mi ha colpito la testimonianza di una giornalista francese intervenuta, Ariele Dumont, corrispondente per il settimanale “Marianne”.
Nel corso dell’intervista ha evidenziato come proprio quel tetto del XII secolo che stava bruciando fosse chiamato “foresta” dagli architetti francesi, in virtù della sua struttura lignea molto elaborata e articolata che in qualche modo era proprio assimilabile a una foresta naturale.
Ho indagato un po’ e ritrovato su FB alcune immagini di questa “foresta” e ancor di più si ha la percezione della devastazione e di quanto sia andato perduto.

Mi è sorto spontaneo il paragone con le calamità – naturali o dolose – che ogni anno colpiscono le foreste naturali di cui è ancora ricco il nostro territorio italiano.
Non ultima la deforestazione occorsa in Trentino e Veneto nell’ottobre/novembre 2018, quando raffiche di vento fino a 150 km all’ora, con vortici e trombe d’aria hanno devastato intere foreste  e boschi plurisecolari sono stati rasi al suolo.

Mi sono recato in questi luoghi – cui sono particolarmente affezionato – per vedere di persona,  e la sensazione di vuoto, di spaesamento e di dolore sono state profonde, alla vista di un paesaggio che sembrava teatro di guerra.
Credo che in queste occasioni venga prepotentemente a mancare quel naturale “velo protettivo” che diamo per scontato ma che è la misura delle nostre fragilità, tanto nei manufatti dell’uomo (un tetto, delle mura…), quanto nell’ecosistema, con salde radici che conferiscono sicurezza alla montagna e conseguentemente a noi stessi.

Si è molto parlato di questa cattedrale come opera d’arte, sottovalutandone il ruolo di “rifugio” – fisico e spirituale – in cui soffermarsi per ritrovare il giusto equilibrio. Stessa cosa per questi boschi, che non sono solo fonte di guadagno per il loro legno e il turismo.
Il noto giornalista Alberto Angela, in uno dei suoi documentari, ha detto – parlando dei monumenti di una città – che “non sono una forma d’arte, ma gioia di vivere”…: proprio questa gioia dobbiamo ribadire anche noi con la nostra fotografia, dopo averne confermato il ruolo di testimone a ricordo del tempo.

W. Turcato

©W.Turcato – Articolo pubblicato anche sul Notiziario n°83 del DiAF – Dipartimento Audiovisivi FIAF, visionabile e scaricabile a questo LINK